Il ritorno del “vigile di quartiere”: nostalgia o ignoranza?

Con l’approssimarsi delle elezioni comunali a Genova, torna prepotente nei programmi elettorali una figura mitologica: il “vigile di quartiere”. Alcuni candidati sembrano convinti di aver riscoperto l’acqua calda, presentando questa formula come una trovata innovativa per riportare sicurezza e prossimità sul territorio.

Peccato che, nel frattempo, il “vigile urbano” non esista più da almeno due decenni e che chiamare così un agente di Polizia Locale sia un po’ come definire “podestà” l’attuale sindaco. Suggestivo? Forse. Corretta ricostruzione giuridica? Assolutamente no.


Agente di Polizia Locale: un’evoluzione normativa

Il personale un tempo noto come “vigile urbano” oggi è ufficialmente Agente o Ufficiale di Polizia Locale, così come definito dal Decreto Legislativo 267/2000 (Testo Unico degli Enti Locali) e regolamentato anche dalla Legge Quadro 65/1986.

Questa figura professionale non si limita più a dirigere il traffico o presidiare il mercato rionale, ma svolge:

  • funzioni di polizia amministrativa,
  • compiti di polizia stradale,
  • attività di polizia giudiziaria,
  • e talvolta, su delega, anche funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza.

Un vero operatore della sicurezza urbana integrata, in costante formazione e sempre più coinvolto in attività complesse (sicurezza urbana, controllo del territorio, tutela ambientale, cyberbullismo, ecc.).


“Vigile di quartiere”: una nostalgia a uso e consumo elettorale

L’espressione “vigile di quartiere” evoca l’immagine rassicurante di una presenza fissa e riconoscibile nel tessuto urbano. Ma trasformare una figura professionale altamente specializzata in un totem da campagna elettorale è riduttivo e fuorviante.

In realtà, l’agente di Polizia Locale già opera sul territorio, spesso sottorganico, sottopagato e con turni massacranti, per garantire quel presidio di prossimità che i candidati propongono come se non esistesse.

Il problema, semmai, è la volontà politica di investirci sopra seriamente, dotando i Comandi di risorse, strumenti e personale sufficiente. Non lo slogan.


La differenza tra slogan e progetto

Dire “metteremo più vigili di quartiere” è uno slogan.
Dire “aumenteremo l’organico della Polizia Locale, migliorando contratto, dotazioni e formazione” è un progetto.

E tra i due c’è tutta la differenza tra fare politica e fare marketing.


Conclusione (amara ma vera)

L’agente di Polizia Locale merita rispetto. E chiamarlo “vigile di quartiere” è come tornare alla lira: fa effetto nei bar, ma nel mondo reale non funziona.

Se i candidati vogliono davvero fare qualcosa per la sicurezza urbana, comincino a leggere il contratto nazionale, ascoltare i sindacati e confrontarsi con chi, ogni giorno, cammina nei quartieri… ma con un tesserino che dice “Polizia Locale”, non “vigile di quartiere”.

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COMMENTO ANONIMO

Fermo restando il condividere la critica all’uso elettoralistico e a volte becero e spregiudicato che ogni parte politica fa della Polizia Locale, preme ricordare anche il ben più serio e a volte indegno uso che le amministrazioni comunali fanno della Plizia Locale, impiegandola, con la tacita e per certi aspetti ancor più discutibile e vergognosa accondiscendenza di prefetti e magistrati, in compiti che spettano ad essa ma alle Forze di Polizia riconosciute e stabilite dal T.U.L.P.S., che non comprendono la Polizia Locale, e senza riconoscerle minimamente lo stesso livello retributivo, le stesse tutele e i medesimi trattamenti pensionistici e per malattia. Questo è ciò che deve indignare e che dev’essere motivo e fonte di lotta senza quartiere per il riconoscimento di tali diritti, anche portando il caso di tale indegna e anticostituzionale discriminazione dinnanzi alla Corte di Strasburgo.

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