Pubblica Amministrazione

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Differenza tra selezione pubblica e concorso pubblico

Sia la selezione pubblica che il concorso pubblico sono modalità di reclutamento per la Pubblica Amministrazione. Si differenziano, però, su alcuni aspetti.
Il concorso pubblico basa la sua selezione sul principio di merito, valutando i candidati mediante prove oggettive, uguali per tutti. Mentre la selezione pubblica si svolge mediante valutazione soggettiva da parte dell’amministrazione pubblica.
Questa differenza è importante anche dal punto di vista della giurisprudenza.
Infatti, anche secondo la sentenza n°1549 del 4 aprile 2017, chi ha intenzione di contestare il risultato di un concorso pubblico, deve rivolgersi al giudice amministrativo. Mentre, chi vuole impugnare una selezione pubblica deve rivolgersi ad un giudice ordinario.
Come anticipato, la selezione pubblica si basa su un criterio soggettivo, da parte dell’amministrazione pubblica. Si tratta, quindi, di un esame che può essere più flessibile e adattabile alle diverse esigenze specifiche dell’organizzazione.
Può svolgersi mediante interviste, colloqui o valutazioni del curriculum. Non sono presenti prove scritte o colloqui orali. Esiste, inoltre, la selezione pubblica per soli titoli, che spesso vediamo citata nelle regole di alcuni concorsi pubblici.
Si tratta di una modalità di selezione che valuta i candidati in base alle loro qualifiche, come titoli di studio, esperienza lavorativa, certificazioni, iscrizione agli albi, etc. Viene utilizzata quando le competenze richieste, per uno specifico ruolo, sono facilmente verificabili mediante la documentazione presentata. Inoltre, nella selezione pubblica, non è sempre presente una graduatoria basata sull’ordine di merito.
Il concorso pubblico è la modalità più “tradizionale” di selezione per la Pubblica Amministrazione e si basa su un criterio oggettivo. Ai candidati viene somministrata una serie di prove, uguali per tutti, che possono articolarsi in questionari, colloqui orali, prove pratiche e prove fisiche. Si tratta della modalità di selezione utilizzata quando occorre valutare i candidati su prove standardizzate e si basa su principi come la trasparenza, il merito e l’oggettività.
Solitamente si procede col concorso pubblico, per ruoli di responsabilità più elevati e decisionali. Al termine del concorso pubblico, viene stilata una graduatoria di merito.

Ancora due mesi di tempo per recuperare gli arretrati dell’Assegno Unico

Chi ancora non ha aggiornato il proprio Isee ha ancora due mesi di tempo, in modo da recuperare gli arretrati dell’Assegno Unico: ecco come fare.
L’Assegno Unico, come sappiamo, è un beneficio economico erogato a tutti i nuclei familiari con figli a carico. Il valore dell’assegno può variare a seconda dell’Isee e dell’età dei figli.
L’Isee, quindi, è essenziale per questa misura di sostegno e molte famiglie rischiano di ricevere l’importo
minimo, pari a 57 euro, se non aggiorneranno il loro Indicatore della situazione economica equivalente.
Infatti, chi non presenterà un Isee aggiornato in tempo riceverà un importo pari a coloro che si trovano nella fascia più alta, ovvero gli Isee superiori a 45’574,96 euro.
Ricordiamo che, per il 2024, gli importi dell’Assegno Unico vanno da un minimo di 57 euro (per figlio) ad un massimo di 199,4 euro. Per presentare l’Isee c’era tempo fino allo scorso 29 febbraio, ma, per chi non si è messo in regola, c’è la possibilità di aggiornarlo e ricevere gli arretrati. Dal 2023, è attiva la funzione di rinnovo automatico della domanda, per chi riceve già l’Assegno Unico, che viene erogato automaticamente a tutti coloro che già ne beneficiano. Ma i nuclei familiari sono tenuti a comunicare all’Inps eventuali variazione dell’Isee, tramite una Dsu aggiornata. Chi non è ancora in regola, può farlo presentando la nuova Dichiarazione Sostitutiva Unica entro il 30 giugno 2024. Gli importi saranno, poi, adeguati al nuovo Isee e saranno erogati anche i dovuti arretrati.
Per aggiornare il proprio Isee, occorre compilare il modulo apposito sul sito dell’Inps, oppure recarsi personalmente nelle sedi territoriali Inps o presso un Caf convenzionato.
Per l’accesso al portale, occorrerà essere in possesso delle credenziali Spid, CIE o CNS.
L’Istituto dà anche la possibilità di utilizzare il modulo precompilato per l’Isee, disponibile sul sito web, nella sezione Isee precompilato. Nel modulo, troveremo tutti i dati autodichiarati dall’utente e quelli precompilati, forniti dall’Inps e dall’Agenzia delle Entrate.

Parere 13398 del 20/02/2024 sulle modalità applicative dell’articolo 1, comma 179, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 – Congedo parentale

Con il parere in argomento l’Ufficio per l’organizzazione ed il lavoro pubblico del Dipartimento della Funzione Pubblica, esprime un parere sulle modalità applicative dell’articolo 1, comma 179, della legge 20 dicembre 2023, n. 213, in merito così si esprime: “Con tale intervento normativo, che incide, quindi, sul Testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, il trattamento economico per il secondo mese di congedo parentale viene elevato dal 30% all’80% a favore di coloro che, alla data del 31 dicembre 2023, risultino ancora in congedo di maternità o paternità ovvero ne fruiscano successivamente. Ne restano, invece, esclusi coloro che, al 31 dicembre 2023, abbiano già fruito interamente del periodo di astensione obbligatoria di cui ai capi III e IV del citato Testo unico, per i quali, quindi, il trattamento economico rimane invariato come da normativa previgente. Al riguardo, è utile rammentare che, in base all’articolo 45, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai pubblici dipendenti possono essere erogati solo i trattamenti economici espressamente previsti dalla contrattazione collettiva, in combinazione con quanto stabilito dalla fonte legale. In conclusione, nel caso di specie, – trattandosi di una misura di nuova introduzione a sostegno della tutela della genitorialità, avente, altresì, una diversa modalità di calcolo per l’anno in corso -, si ritiene che la stessa possa essere immediatamente applicabile a tutti i lavoratori dipendenti, nel rispetto delle condizioni previste dalla normativa di riferimento.”.
Pubblico impiego: la mancata comunicazione al datore di lavoro dell’incarico extraistituzionale
Con sentenza n. 9801, depositata l’11 aprile 2024, la Suprema Corte di Cassazione ha espresso alcuni importanti principi di diritto in tema di licenziamento nel pubblico impiego. Cass. civ., sez. lav., sent., 11 aprile 2024, n. 9801
Per dirimere la controversia in esame, il Collegio evidenzia che:

  • «l’accettazione di cariche sociali in una società cooperativa, nella specie Presidente del Consiglio di
    amministrazione di una “società cooperativa sociale”, non incorre nella incompatibilità assoluta di cui all’art. 60 del d.P.R. n. 3 del 1957, in ragione della deroga prevista dall’art. 61 del medesimo d.P.R. Ciò, tuttavia, non esclude che il lavoratore debba chiedere l’autorizzazione allo svolgimento dell’incarico extraistituzionale al datore di lavoro»;
  • «trova applicazione l’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, che costituisce disciplina volta a garantire l’obbligo di esclusività che ha primario rilievo nel rapporto di impiego pubblico in quanto trova il proprio fondamento costituzionale nell’art. 98 Cost. con il quale, nel prevedere che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”, si è inteso rafforzare il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.»
  • «il lavoratore pubblico contrattualizzato concorre all’attuazione della disciplina sulla incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi, e la norma di riferimento per quest’ultimo………

Sezione Lavoro Sentenza 7267/2024* Impiego pubblico – Funzioni Locali – art. 55-ter, commi 1 e 4, del Dlgs 165/2001 “Rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale”

La sentenza in argomento si sviluppa su diversi principi normativi di interesse. In primis la Corte sottolinea che “l’art. 55-ter, comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001 conferisce alla pubblica amministrazione un’ampia facoltà discrezionale nella scelta tra la prosecuzione del procedimento disciplinare in pendenza del processo penale per i medesimi fatti (così facendo valere il principio della tendenziale autonomia tra i due procedimenti) e la sospensione del procedimento disciplinare. La sospensione può essere disposta sia nell’interesse della pubblica amministrazione a recepire tutte le prove che saranno raccolte e formate nel processo penale, sia nell’interesse del lavoratore di poter beneficiare dell’eventuale assoluzione in sede penale e delle evidenze a discarico emerse in quel processo. La stessa pendenza del processo penale presuppone e dimostra che sono in corso accertamenti sui fatti oggetto anche di contestazione disciplinare, il che rende quasi insindacabile la scelta della pubblica amministrazione di sospendere il procedimento disciplinare, tant’è che nei precedenti di questa Corte in cui si è affermato il principio della discrezionalità del comportamento della pubblica amministrazione non era in discussione tale scelta, bensì quella successiva di riattivare il procedimento disciplinare prima che il processo penale fosse giunto a conclusione, il che poneva il problema di una potenziale contraddizione tra le due scelte (v. Cass. nn. 7085/2020; 12662/2019; tale questione è stata nel frattempo fatta oggetto di specifica disciplina legislativa con l’integrazione dell’art. 55-ter, comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001 introdotta dal D.Lgs. n. 75 del 2017). Il secondo principio attenzionato dalla Corte riguarda il termine perentorio entro cui il procedimento disciplinare deve essere riavviato, dopo la definizione del processo penale. “Attesa la natura perentoria del termine di 60 giorni in discussione è necessario ancorare il dies a quo per la decorrenza del termine ad un evento certo quale la comunicazione della cancelleria”. Condivisibile è anche l’assunto che la modifica apportata all’art. 55-ter, comma 4, del D.Lgs. n. 165 del 2001 dal D.Lgs. n. 75 del 2017 (che ha aggiunto le parole “da parte della cancelleria del giudice”) “non ha una portata innovativa della previsione precedente, bensì una valenza solo interpretativa”. Non si tratta di riconoscere efficacia retroattiva alla modifica introdotta nel 2017, ma anzi proprio di constatare che l’intervenuta modifica legislativa non incide sull’interpretazione del testo previgente, nemmeno nel senso di imporre al giudice una interpretazione a contrario desunta solo dal tenore della norma sopravvenuta. La Corte esamina altresì i principi di specificità e di immutabilità della contestazione disciplinare nonché delle regole sulle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. sottolineando che ciò che rileva è l’idoneità dell’atto a soddisfare l’interesse dell’incolpato ad esercitare pienamente il diritto di difesa” (Cass. 23771/2018; che cita, a sua volta, Cass. nn. 6099/2017; 4622/2017; 3737/2017; 619/2017; 6898/2016; 10662/2014; 27842/2009). Altra questione riguarda l’art. 51 c.p.c. che non è applicabile al procedimento disciplinare, il quale è regolato dalle disposizioni imperative dell’art. 55-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001, in forza delle quali il principio di terzietà postula solo la distinzione, sul piano organizzativo, fra l’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari e la struttura nella quale opera il dipendente incolpato e “non va confuso con la imparzialità dell’organo giudicante, che solo un soggetto terzo rispetto al lavoratore ed alla amministrazione potrebbe assicurare. Il giudizio disciplinare, infatti, sebbene connotato da plurime garanzie poste a difesa del dipendente, è comunque condotto dal datore di lavoro, ossia da una delle parti del rapporto che, in quanto tale, non può certo essere imparziale, nel senso di essere assolutamente estraneo alle due tesi che si pongono” (Cass. n. 1753/2017; conformi, ex multis, Cass. nn. 29461/2023; 20721/2019). Quanto al principio di “proporzionalità” della sanzione nel caso dispecie si ravvisa la sussistenza della gravità del fatto tale da fare venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore dipendente e da non consentire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.

Sezione Lavoro Ordinanza 7358/2024* Impiego Pubblico – Funzioni Centrali – Falsa attesta zione presenza in ufficio –art. 55-quater, lett. a) –del Dlgs 165/2001 – Fatti e comportamenti tesi all’elusione dei sistemi di rilevamento elettronici della presenza

La Corte nel caso in argomento premette che un unico vincolo, logico e giuridico integrale per il datore di lavoro (comportante non solo l’obbligo di riattivare, a richiesta, il procedimento disciplinare ma anche l’assenza di margini di apprezzamento in sede interna: v. Cass. 6 marzo 2023, n. 6660) deriva dall’assoluzione penale quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso (ex art. 653, comma 1, cod. proc. pen.; art. 55-ter, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001). Deve, ovviamente, trattarsi dello stesso fatto che ha formato oggetto tanto del procedimento penale quanto del procedimento disciplinare. Per il resto, residua sempre la possibilità di un autonomo apprezzamento, operando il principio secondo cui il giudicato penale non preclude, in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale attesa la diversità dei presupposti delle rispettive responsabilità, fermo solo il limite dell’immutabilità dell’accertamento dei fatti nella loro materialità – e dunque, della ricostruzione dell’episodio posto a fondamento dell’incolpazione -operato nel giudizio penale (v. Cass., S.U., 9 luglio 2015, n. 14344; Cass., S.U., 24 novembre 2010, n. 23778; Cass., S.U., 18 ottobre 2000, n. 1120). Ciò vuol dire che il giudicato di assoluzione non determina automaticamente l’archiviazione del procedimento disciplinare ben potendo l’amministrazione rivalutare il fatto, fermo restando che lo stesso non può essere ricostruito in termini difformi rispetto a quelli accertati in sede penale (in tal senso, Cass. 13 marzo 2019, n. 11948; Cass. 12 febbraio 2021, n. 3659). Analogamente il giudicato di condanna impedisce di ritenere il dipendente estraneo ai fatti ma non preclude la possibilità di apprezzare, ai fini della gravità dell’inadempimento, circostanze diverse da quelle valutate dal giudice penale. Tranne le vincolanti ipotesi di cui si è detto, la regola prevista dall’art. 55-ter del D.Lgs. n. 165 del 2001 resta sempre quella dell’autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale (v. Cass. 28 agosto 2018, n. 21260; Cass. 17 maggio 2017, n. 12358; Cass. 10 giugno 2016, n. 11985). Lo statuto normativo introdotto ha tenuto conto della circostanza che uno stesso fatto può essere considerato irrilevante sotto il profilo penalistico e nel contempo avere una rilevanza disciplinare tale da risultare persino idoneo a giustificare il licenziamento.

Sezione Lavoro Sentenza 7272/2024* Impiego Pubblico – Funzioni Centrali – Accesso illecito da parte di dipendente alla banca dati conti e prestazioni previdenziali – Licenziamento – art. 4 Statuto dei Lavoratori

La Corte di Cassazione precisa che la contestazione contenendo l’indicazione delle “condotte” e della loro “collocazione crono-spaziale” e ciò coincidono esattamente con il tenore della contestazione quale previsto in merito dall’art. 55-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001, come aggiornato dal D.Lgs. n. 75 del 2017 e dall’art. 24 Cost.. Nel caso di specie il motivo menziona fugacemente, come atto richiamato nella contestazione della cui mancata conoscenza si duole la dipendente, la “segnalazione del dirigente” che in effetti è indicata nell’ incipit della contestazione, ma si tratta di profilo inconferente, in quanto una volta contestati i fatti – come la Corte territoriale ha accertato essere avvenuto – non ha alcun rilievo l’occasionale riferimento, nell’ambito della contestazione, alla segnalazione attraverso la quale la conoscenza di quei fatti sia stata trasmessa a chi deve provvedere all’addebito disciplinare.

Cassazione: licenziamento per inidoneità alla mansione, quando scatta la reintegra?

Con l’ordinanza n. 9937 del 12.04.2024, la Cassazione afferma che in caso di licenziamento intimato per inidoneità fisica o psichica, la violazione dell’obbligo datoriale di adibire il lavoratore ad alternative possibili mansioni, idonee e compatibili con il suo stato di salute, integra l’ipotesi di difetto di giustificazione, suscettibile di reintegrazione.

In quali casi è possibile l’esonero dalle visite fiscali?

Quando un dipendente sta male e non può andare al lavoro a causa della malattia, deve comunicare al proprio medico la sua assenza. Quest’ultimo deve compilare un certificato o un attestato, in via telematica e inviarlo all’Inps.
Il dipendente, però, dovrà risultare reperibile durante gli orari delle visite fiscali che, con le ultime novità, si sono uniformati, sia nel pubblico che nel privato. Le fasce di reperibilità sono dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 17.00 alle 19.00.
Ma ci sono dei casi, in cui il dipendente può essere esonerato e non essere reperibile, senza incorrere in sanzioni. Nella maggior parte dei casi, se non si è reperibili durante gli orari delle visite fiscali, si può incorrere in sanzioni, anche serie, come la perdita dell’indennità di malattia e il licenziamento per giusta causa. Ma ci sono dei casi, in cui il dipendente può essere esonerato, ovvero situazioni di particolare urgenza che fanno venire meno l’obbligo. Secondo quanto dichiarato dall’Inps, nella circolare n°95/2016, i dipendenti del settore privato possono essere esonerati dall’obbligo a causa di

  • Patologie gravi che richiedono terapie salvavita, comprovate da idonea documentazione sanitaria;
  • Patologie collegate all’invalidità riconosciuta, che ha determinato una riduzione della capacità lavorativa in misura pari o superiore al 67%.
    Per quanto riguarda i dipendenti pubblici, invece, i casi di esonero sono regolamentati dal decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione (DM n°206/2017):
  • Patologie gravi che richiedono terapie salvavita;
  • Malattie per le qual è stata riconosciuta la causa di servizio;
  • Malattie connesse alla situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%.
    Un altro caso che prevede l’esonero è la gravidanza a rischio.
    Se la lavoratrice ha richiesto all’Asl di astenersi anticipatamente dal lavoro, proprio per i rischi correlati alla gravidanza e prima del congedo di maternità, deve inviare una domanda con allegato il certificato medico.
    Sarà l’Asl a decidere se riconoscere o meno lo stato di maternità a rischio, autorizzando l’interdizione anticipata. In caso di mancata risposta, vale la regola del silenzio assenso, dopo 7 giorni dalla ricezione della documentazione.
    In quei 7 giorni, però, la lavoratrice può essere soggetta a controlli e deve rispettare gli orari delle visite fiscali. Dopo l’accettazione della domanda, non saranno svolte visite fiscali.
    Ecco gli altri casi in cui si prevede un esonero:
  • Ricovero ospedaliero;
  • Concomitanza di visite, prestazioni e accertamenti specialistici, se si dimostra che le stesse non potevano essere effettuate in ore diverse da quelle corrispondenti alle fasce orarie di reperibilità;
  • Ogni serio e fondato motivo che renda ragionevole l’allontanamento del lavoratore dal proprio domicilio (come specificato dalla Cassazione, nella sentenza n°10661/2016);
  • Ritiro radiografie collegate alla malattia in atto;
  • Trattamenti terapeutici urgenti, come iniezioni;
  • Visite presso l’ambulatorio medico, in caso di orario di ricevimento inconciliabile con le fasce di reperibilità;
  • Visite presso l’ambulatorio medico, per far constatare l’eventuale guarigione della malattia, in modo da riprendere il lavoro;
  • Visita presso un medico specialistico, in caso di cure dentistiche urgenti;
  • Effettuazione di un ciclo di cure presso un istituto convenzionato;
  • Urgenza di recarsi in farmacia;
  • Svolgimento di attività di volontariato non realizzabile in tempi diversi da quelli delle fasce orarie;
  • Visite ad un familiare stretto ricoverato in ospedale, quando l’orario di visita ai degenti coincide con le fasce di reperibilità;
  • Assistenza necessaria prestata dal lavoratore in ospedale al familiare stretto in gravi condizioni.
  • Assistenza necessaria prestata dal lavoratore in ospedale al familiare stretto in gravi condizioni.

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